Quanti spettatori?

una giornata di forte vento, un foglietto

carambola attraverso la piazza

nelle mie mani

 

immolato sull’altare dell’amore

mi concedo alla malia del dolore

malato, predestinato, incompreso.

 

Felliniano. Possiede estro caricaturale

permette a una parola di mutarne il significato: felicemente

direi, tra l’immolarsi e il concedersi, o più in là

a sbarrare il mesto trittico.

 

Che l’insuccesso gli abbia dato alla testa?

un film, un flop, all’undicesima battuta:

 “Io sono un pessimo amante, ma amo sempre meglio di te”

Dio, togligli la voce. La storia è monca.

Si dice che il Maestro usasse la noia come metro di giudizio:

E allora se lo tenga questo sentimento!  Avrebbe urlato.

Per conto mio,

 preferisco starmene alla larga.

 

Zero spettatori.

bosco verticale

#18

Top Lots

La punta scivola morbida, pochi rapidi tratti producono

figure leggere, vivaci, non ancora complete eppure già pronte ad andarsene, si muovono, si piegano, fanno leva sul nulla, si arrampicano verso il nulla e spariscono oltre il perimetro che le contiene,

in silenzio, prive dell’ombra e forse anche per questa ragione

furiose.

 

Tutto quello che cerco di dire mi viene da questi solchi,

fisionomie che si dilatano e si avvicinano fino a  toccarmi, mi scrutano dentro per capire se sono vivo e convincermi, ora abbassando lo sguardo ora lo rialzandolo, additandosi, additandomi che il tema del doppio, di questo essere e non essere allo stesso tempo, del vuoto attorno al pieno, non è poi così importante

eppure

 

Ho il sospetto che questi segni sottili e flessibili, mutevoli come l’acqua abbiano trovato riparo e protezione da qualche parte,

come se a un certo punto in quest’era incerta e esasperata loro e poche altre specie avessero sviluppato la consapevolezza di poter sopravvivere, avendo  trovato un habitat accettabile.

 

Per imporre un po’ di ordine e regolarità a questo mondo in movimento ho coperto l’opera con un drappo, ma nella sala tutti hanno continuato a girarci intorno incuriositi. Più tardi ho osservato tre collezionisti lottare strenuamente per aggiudicarsi qualunque cosa vi fosse celata sotto.

“In giro c’è un mucchio di denaro e una gran fiducia nel futuro”;  il proprietario della casa d’aste si è detto

assolutamente convinto.

Giallo
Cinque sul giallo

#15

Batik

questa città nera e tortuosa s’è ingoiata il consorzio umano, le dico

è un coro di voci attorcigliato intorno a un unico stato d’animo che non abbandona mai la strada,

scende verso il mare alle prime luci dell’alba per risalirne al tramonto tirandosi dietro l’odore aspro e doloroso della malora, dell’affanno, della forza

di ricominciare.

 

Sulla banchina del porto appena inaugurato sono scese, per restare, due fanciulle.

L’ho notato perché da qualche tempo traffico coi numeri, perlopiù sequenze di due unità che compongo e suddivido in griglie per contenerne il vigore o impilo, le une sulle altre

(coi numeri automorfi ho quasi raggiunto l’astrazione).

E poi perché mi sento solo in questa esistenza fatta di sottoinsiemi non vuoti.

 

Erano attraenti con i loro occhi grandi, le bocche spalancate, i corpi minuti e una carineria a ogni costo che rendeva il tutto autentico e immediato. Di quell’incontro, 

che ha segnato il culmine della mia capacità di dialogo con l’umano, resta una fotografia. Ho il naso asimmetrico, non me n’ero mai reso conto.

La cosa mi ha colpito. E’ da quel giorno che ci penso.

 

Sono adulto. Lo sono tuttora, curvo sui numeri e incorniciato dalla luce artificiale,

come il corista di una chiesa ortodossa, un orafo nella bottega paterna o un novello alchimista dedito al bistro leonardesco.

Intanto gli abiti delle mie amanti s’asciugano, appesi qua e là.  Dondolano sospinti da una lieve energia spontanea e contestatrice che mi rassicura, mi consola e mi convince che la vecchia regola del bene rifugio

ancora funziona.

nebbia
Minimalismi concreti

#14

 

M. Villègle

quello che più manca in questi giorni è la forza

di innamorarsi un po’. Di sorprendersi.

Sentire nel cuore la vergogna, il vanto, la scelleratezza d’averci dentro una manciata di sospiri,

ancora.

 

Qui si respira un’aria internazionale, non c’è puzza di provincia.

Posso pensare a me, passeggiare fino a tardi, osservare il tempo e strappare i manifesti dai muri,

compiere le mie piccole infrazioni,

ecco.

 

Lacerare l’epidermide della città è un’angheria e un’arte salubre al contempo, si fa all’aperto, prendendo ciò che la città ha da offrire:

una parola, un volto, un refrain,

(ieri, dietro la locandina di un concerto, ho scoperto una piccola porzione di nudo).

 

Dopo anni passati a studiare le infinite possibilità del vuoto per afferrare e collegare tra loro i fili sparsi qua e là della materia,

ho finalmente scoperto la potente carica eversiva

dei muri grigi.

 

Penso spesso a lei, nello spazio angusto del suo laboratorio di ricerca, osservare, curvo sulla lente, la leggerezza di una qualunque sequenza poetica

e non accorgersi della grazia di una bocca un po’ asimmetrica

colta in un attimo di stupore.

 

Ora espongo le mie opere al vento perché le accarezzi, le investa, le scompigli un po’, per ridere.

Esse suonano, cantano, si muovono.. escono e tornano

da sole.

installazione
Installazione #1

# 13

Magdalenenstr. 54

l’attacco è incerto, un fill 

lo splash nella seconda terzina,

in levare

 

nel giardino di suoni minimi

(uno studio senza finestre) coltiviamo

vibrazioni intollerabili

 

“c’è qualcosa di poroso

vergato di nero, una pignoleria

a tratti orientale”

 

la musa siede, immobile

gli occhi chiusi – i gomiti poggiati

sulle ginocchia

 

“allo stesso tempo dolce

aristocratico come il day after

di un bagno a mezzanotte”

 

e quell’ultima nota

un’esca lanciata in aria, in attesa

al termine della lenza

Danzatrice - performance
Spettacolo di danza, foto privata

#12

L’alfabeto degli affetti

E’ dura la vita del collezionista. Di quella piccola serie di foto non resta che un esiguo numero di esemplari sfuggito miracolosamente alle maglie di un rigoroso presidio. Appartenevano a lei e fino alla fine le custodì con una gelosia feroce. Ricostruendo la storia però, se ne deduce la ragione.

S’innamorarono alla vigilia della guerra, da cui entrambi uscirono illesi. Lui, un collaudatore d’aerei, alto e coi baffi alla moda, di quelli sottili che sparirono solo nel ’37. Lei, opportunamente desiderabile e sognatrice, non la smetteva di sorridere e di scrivergli lettere con una grafia leggera e sottile, ritenendola appropriata a stimolare l’attenzione di quel suo unico lettore così fuori dal comune. Si trattava per lo più di cronache quotidiane, impressioni di vita collettiva fatte di uomini e donne messi insieme per l’occasione.

In cambio riceveva istantanee sovraesposte, cariche di una bicromia rovente, dolorosamente asfittiche oppure arse dal bulbo solare, che lui scattava in volo con una mano sola.

La prima che le fu indirizzata era completamente nera. Gli rispose con gentilezza, lodandolo per l’intenzione di cogliere l’essenza delle cose trascendendo il particolare, rilevando tuttavia la necessità di percorrere anche altre strade per esprimere l’infinita bellezza universale. Ne seguirono altre a svelare in maniera sempre più audace le avventure di quell’uomo infilato nel mezzo di nuvole inconsistenti, in cieli sordi dei suoni della risacca o del rumore delle fronde, ingolfato nel chiaro fumo dei motori. Inventarono una specie di nuovo alfabeto degli affetti, che attirò l’attenzione.

A chi le chiedesse di far emergere dalle carte un ricordo di quei giorni, lei faceva spallucce e rispondeva: “Ballava molto bene, ma faceva passi troppo grandi per me”.

Fenestrelle
Forte di Fenestrelle – interno, Val Chisone (Torino)

Microstoria #24

Family affair

nella conversazione un gesto

spiega la caducità: il destino rovinoso

di ciò che è nato e ha goduto

almeno un istante della luce del sole

 

nell’apparente calma

di una tavola apparecchiata con belle porcellane e argenti lustri

atterra un pensiero e si ficca a metà

tra le pietanze

 

o più sotto, emerge dal fondo del mare come un pesce

a riprendere fiato; sorpresi

nel mezzo di quel gesto, congelati

qui, in questo punto

 

uno scheletro di stella polveroso

costringe a distogliere lo sguardo

dal vetro che divide il vuoto

dal vuoto

 

è un pensiero fasullo

(opera clandestina ferma alla dogana)

dai doganieri sarà distrutto

tra un minuto, vedrai

– a martellate

Casa disabitata

# 6

Il collezionista turco

"Il mercatino delle pulci" parte 3 - Qui la 1. Qui la 2.

“Costosa illusione d’immortalità?”

E’ assurdo. Io sono un collezionista e con l’arte misuro la portata dell’esistenza. Ma all’epoca ero anche altro. Ero un mistico senza fissa dottrina che sostava sulla soglia degli opposti, il pensiero e l’atto, la malia e la repulsione, il quotidiano e l’inspiegabile.

Acquistai la foto sull’onda delle mie certezze. Credevo nell’evento cardinale bloccato nel tempo, che la bellezza fosse una fonte d’ispirazione alternativa al vero e che le opere avessero bisogno della mano, oltre che dell’attenzione dello spettatore, per essere accese. Le volte in cui mi azzardai a sfiorare con le dita la curva pallida di quella schiena non fu per desiderio, ma per stimolarne la genesi.

Gli anni mi contraddissero insegnandomi che dell’uomo non esisteva che il riflesso prima del tuffo in una pozza oscura. La storia lo rese pesante e l’arte lo trasformò  in un soggetto gravato da responsabilità immense, ficcandolo a forza dentro atmosfere fatte di colori bui, materici, densissimi.

La foto non c’entra. Cambiai semplicemente corrente di pensiero.

Bardi
Interno, castello di Bardi – PR

Microstoria #20-3

Lo spago trattiene

pezzetti di stoffa

(guarda bene, non nuvole colorate)

cuciti con cura

alla cornice del cielo

 

lo spago trattiene

a malapena l’ago,

due punti dolenti

 

nella tragedia dei nomi

una mappa per attraversare

il deserto dei ricordi

 

china, riprende il lavoro

la mano abituata

a comandare le maree

 

in ogni pezzo una scena,

(spezzi il filo coi denti)

il resto vola nel soffio

 

è il tempo

dicevi (è lui)

a strapparli via

Venezia, Isola della Giudecca
Venezia, Isola della Giudecca

# 3

Le somiglianze

Era il primo giorno d’estate. Seduti su un muretto parlavamo di dinamismo.

“Sono senz’altro gli oggetti” asseristi “a permettere allo spazio di esistere”. Dissentii perché a mio parere a indicare e delimitare lo spazio non poteva che essere il movimento. S’impose quindi la questione della serialità e il conseguente vizio delle differenze. Ricordo anche che la situazione divenne davvero incandescente quando prendemmo in esame il concetto di somiglianza, ovvero quanto è diverso ciò che a prima vista appare simile?

Fu allora che qualcuno scattò la foto. Eccola, guarda che sguardi scuri e accigliati.

“Ora dimmi, non ci trovi anche tu quel livido iperrealismo da foto segnaletica?”.

Murale

Microstoria #17